Il mio viaggio in Africa

Quello che qui sto per raccontare racchiude alcuni punti cardine della mia vita che, con questo viaggio, si concretizzano, si rivelano a me come una pugnalata nello stomaco.

Il gesto del dono

La donazione, almeno nella mia famiglia, era una pratica usuale. Avendone la possibilità, era nostro dovere donare ad associazioni che si occupano di attività benefiche in varie parti del mondo. Lo faccio tuttora anch’io, ma con uno spirito nuovo. Diverso.

La donazione per me è stato sempre un gran conflitto, anche con il mendicante in città.

Donare un euro o mille non cambia. Il significato che porta con sé quel gesto, almeno per me, rimane lo stesso. In generale, donare mette a posto con la coscienza. Il concetto è: “ti do quello che vuoi, quello di cui hai bisogno ma poi vai, lasciami in pace”.

Su questa sensazione ho voluto fare una sorta di esperimento, con me stesso, che portai avanti per 2 mesi: tutte le volte che si avvicinava qualcuno al finestrino dell’auto mentre ero fermo al semaforo per chiedermi una moneta, rifiutavo guardandolo negli occhi. In quel momento, tramite lo sguardo di queste persone, incrociavo la sofferenza. Nei loro occhi vedevo il mio senso di colpa

Questa emozione forte e profonda, questo senso di colpa rispetto alle mie fortune, è riemersa come un vulcano. Dare qualcosa a terzi mi lava la coscienza, mi mette a posto. Non farlo ripetutamente, guardando la realtà in faccia, mi ha scosso profondamente.

Il mio viaggio in Africa (ed interiore)

Negli anni intorno al 2010, lavoravo ancora nel tessile e,come ho sempre fatto, partecipavo al sostegno di una Onlus, aiutandola in progetti a sostegno di alcune popolazioni in Africa ed in Asia. Venivo spesso invitato a vedere i progressi direttamente sul territorio, ma in genere rifiutavo. Era un viaggio impegnativo, di circa 2 settimane, che avrebbe avuto un certo peso per l’agenda lavorativa. Ma un giorno, senza un reale motivo, accettai quella proposta di partire per l’Africa.

 

Quando presi l’aereo, mi ricordo che mi dissi: “Ma chi me l’ha fatto fare?”. Stavo andando a vedere un’Africa che non avevo mai visto. Avevo conosciuto un’Africa turistica, fatta di viaggi in Tanzania o Namibia ma, in quell’occasione, partii per un viaggio che si rivelò pazzesco, per il Benin e il Burkina Faso. Eravamo in cinque su una jeep, percorrendo una quantità inenarrabile di chilometri. Un giorno dovevamo viaggiare per 12 o 13 ore e ricordo che eravamo in 2 a darci il cambio alla guida. Quando fu il mio turno, partii cercando di andare più veloce che potevo. Dopo 2 ore, i miei compagni mi chiesero cosa stessi facendo. Io cercavo di arrivare il più in fretta possibile, perché prima arrivavo e meglio era, almeno per la mia mentalità e la mia cultura. 

Ecco che, in quel momento, durante quel lungo spostamento da un villaggio all’altro, ricevetti un grande insegnamento. Quello del godersi il momento, l’istante, quello che noi in Europa e nel mondo occidentale non sappiamo più fare. Lo spostamento in jeep, anche di ore, tra distanze lontanissime, faceva parte del viaggio, dell’assaporare quel “qui ed ora”, di quel momento. 

In Africa ho incontrato la vita vera. È stato un viaggio che mi ha sconvolto, mi ha profondamente segnato. Ho vissuto il mio corpo, l’ho sentito, attraverso quel caldo atroce che caratterizza quelle terre aride.

Chiesi un giorno, ad una delle suore, perché non mettesse l’aria condizionata. Sarebbe stata meglio e avrebbe lavorato in modo più efficiente. Lei invece mi rispose che voleva stare “vicino ai suoi fratelli”. A parte l’aspetto religioso e la scelta di vita della suora, mi rendo conto solo oggi che il significato di quelle parole comprende quella scelta di essere lì, in un ambiente vero e naturale, assolutamente radicato e vicino alla terra, senza il benessere che abbiamo ogni giorno, senza tutto il comfort che caratterizza la nostra vita, dagli elettrodomestici all’aria condizionata, dai bei viaggi al ristorante. Essere lì, senza essere anestetizzato dal mondo e dal benessere. Tutto quello che ci siamo costruiti intorno, per vivere il più possibile una vita agiata, ti tiene lontano dalla vita vera, terrena, semplice, legata all’essere corpo e mente. 

In questo viaggio in Africa ho visto la realtà cruda, mi è entrata la vita con la “V” maiuscola, ho visto la morte, ho visto la sofferenza. Ho conosciuto persone incredibili che si dedicano a queste realtà al 100 %, come Fratello Vincenzo, in Africa da tantissimi anni e che non credo pensi mai a tornare, perché quella è la sua vita.

Quando ho toccato le vibrazioni che queste persone emettono, che sprigionano da dentro di sé, sono rimasto segnato. Questo viaggio è stato il mio spartiacque, concludendo una parte di me ed aprendone un’altra in pieno divenire.

Il mio cambiamento

Tornando a casa, ho ritrovato la mia realtà con alcune criticità che avrei dovuto affrontare. Sono poi infatti mancati i miei genitori, ho dovuto affrontare la fine del mio matrimonio ed erano anni alquanto difficili anche in azienda per quella crisi economica che è sempre stata intrinseca nel tessile. Ma questo percorso sempre in divenire, che comprende questo viaggio in Africa, la psicoanalisi, la meditazione ed il massaggio, mi offre quegli elementi imprescindibili che mi accompagnano nell’affrontare quello che la vita pone.